
Succede così. Un giorno Lucia mi telefona e mi dice: “Lunedì mi diranno se mi prendono a lavorare al call center. Come sempre non so se augurarmi che mi prendano o che non mi prendano, perché per me è la stessa cosa”.
La consolo, usciamo: una panino, una birra, e via a casa. Ma la sera sono irrequieta. E triste. Penso a Noi, a questa generazione sfigata, immersa in questo tratto storico così sbiadito e faticoso e dispersivo. Mi sfogo. Butto giù due righe, alla fine ne esce una paginetta. La tengo nella borsa per un po’ finché un giorno la ripesco. Rileggo quei pensieri e ci vedo intorno un progetto: ci vedo delle storie, dei racconti, delle testimonianze. Ci vedo delle voci autentiche. Tante, vere, come quella di Lucia.
Ricopio il testo in una mail e dico: “Boh? la faccio girare… vediamo cosa succede…”
Benedetta, Chiara e Viviana, sono le prime a leggerlo, a Trieste. Il responso è “Mi pare una figata! Procedere!“. A Milano la prima è Cristina nella pausa caffé, mi dice “wow! e chi è che non scriverebbe…“; poi arriva Francesca: “Va studiato Marta però, fammi pensare come si può far conoscere la cosa…“.
Racconto a Francesco il progetto durante una festa. Mi abbraccia e quasi si commuove: “Anche io ci avevo pensato! Ti ricordi il mio comitato contro il lavoro gratis?“
Ridiamo. Accenno la cosa ad Alice: “io scrivo! quanto può essere lungo?“.
David mi invia un racconto via posta il primo maggio, festa del lavoro, allegando questa frase:
“Grazie Marta, per aver insistito. Mi ha fatto un gran bene scrivere questo pezzo. Spero ti piaccia. Rimettici mano come e quanto vuoi.”
…dopo tre giorni Lorenzo: “…e io che sono andato a spillare birra ad alta quota per pagare l’assicurazione macchina?“. Manda la sua storia il 15 di maggio.
Donata mi dà il contatto di un’amica. “È parecchio incazzata, se le dici di scrivere, secondo me comincia e non si ferma più…“. Mia madre mi dice: “Beh almeno la carta è un posto fisso, quello è sempre un posto fisso…” e sorride chiudendo la sua agendina.
Scrivo il sottottitolo.
Una sera Benedetta viene da me e mentre gli racconto i miei disastri sentimentali, accenna un logo: “Ti piace?“, “chi?“, “il logo che ti ho fatto Martaaaa!“
La settimana dopo quel logo è un file in illustrator. Mi arriva alle 2.35 di notte. Poi c’è Andrea, avvocato, che mi dice: “Ti do una mano io, stasera resto in studio e lavoro su questa cosa“. Serena dice che supporterà SF(O)GATI sulla testata per la quale scrivo, mi dà alcuni consigli operativi. Ne parlo alle mie colleghe. Nadia sorride e mi sussurra: “posso partecipare?“
Alessandra sta scrivendo la sua storia di mamma lavoratrice sull’Intercity che la riporta da suo figlio che ha tre anni.
Viola da Londra, Roberta da Bruxelles: “Anche noi siamo italiane, e abbiamo qualcosa da dire“.
A un matrimonio conosco una coppia di giovani italiani scappati a Grenoble: “dammi la tua mail… mi sembra un’iniziativa interessante“.
Marilena mi chiama perchè vuole sfogarsi. Non le hanno rinnovato il cocopro. Trascrivo quello che mi dice.
E penso “SF(O)GATI”.
E poi più di qualcuno mi prende in giro: “Sei pronta a leggere la bio-enciclopedia del Paese?“
Oggi SFOGATI è un colore e un umore con un suo piccolo senso e prende spazio nel mio blog. E’ nato spontaneamente e ha preso corpo grazie al contributo di più persone e io penso che questo sia un buon motivo per dedicarci del tempo e delle energie. Non so quanti saranno, quanti parteciperanno al progetto e scriveranno. Ma io credo che ci siamo molte Lucia che stanno aspettando lunedì senza sapere cosa augurarsi, e molte Chiara, Benedetta, Cristina, Viviana e molti Lorenzo, e molti Andrea e David, come quelli che conosco io… che se gli dici: “scrivi!” scrivono davvero e poi ne sono persino contenti.
Allora ho pensato che se due persone fanno noi, cinque persone fanno un Signor noi, e allora dieci fanno un noi bello grande, cento sono un noi monumentale.
Mille?
Forse c’è un momento in cui diventa un noi maiuscolo, un momento in cui si mette il punto, si va a capo, e si scrive…
Noi.
Noi che ci fermiamo e raccontiamo.
Questa è la differenza tra gli sfigati e gli Sf(o)gati.
E questo è il mio Microclisma di oggi.
Confermo: mi pare una figata, procedere!
Nonostante sia per indole, per natura o per difetto genetico un tipo positivo, uno che guarda avanti e cerca di trovare l’appiglio per il sorriso catartico, in questi ultimi tempi non nego che dentro di me aleggi un senso di disagio, di rabbia repressa, di delusione. Il tutto misto ad un grande senso di impotenza. La “vita senza ieri” (grande romanzo di Edoardo Nesi): ecco l’immagine che cercavo, quella che sa interpretare il mio malessere: è come se il passato (quello di ieri) stesse scivolando via sgretolato da tantissimi fattori (per lo più a me ignoti), lasciando a me – a noi – un presente senza fiducia. La sfiducia è come un freno a mano tirato, ma non del tutto come quelli di una volta e ti accorgi che qualcosa non va quando senti la puzza dei freni che stanno bruciando, e il rischio è che ormai è troppo tardi. Chi ha avuto in mano il nostro ieri (non tutti per carità) è stato talmente impegnato a godere del suo oggi da dimenticare il domani degli altri.
Sono immagini iperboliche, ne sono consapevole, ma oggi tutto è fermo. Il lavoro sparisce o non si trova, la ricchezza generale diminuisce riducendo non tanto il tenore di vita (chi se ne frega) ma le possibilità che ti potrebbe offrire la vita (questo conta molto di più). I vecchi (non necessariamente anagraficamente) leader appaiono più presi dal timore di diventare insignificanti che dalla responsabilità di fare qualcosa. Se il possibile di ieri diventa rinuncia necessaria per l’oggi o ti disperi o provi a sperare nel futuro.
Bellissime parole, a cui dovrebbero (potrebbero?) seguire bellissimi fatti.
Chi ha avuto in mano il nostro ieri è stato talmente impegnato a godere del suo oggi da dimenticare il domani degli altri.
Niente di più vero.
Grazie per queste straordinarie parole.
E’ vero.
Nulla di più e nulla di meno.
Soprattutto quando questa realtà ti tocca, da vicino.
Quando vedo mia sorella che, terminati gli infiniti e lunghi 5 anni dell’Istituto commerciale, si ritrova con un pugno di mosche, no anzi zanzare (giusto perché è estate) in mano.
Penso che un’odissea o una maratona così lunga non l’ho mai vista in tutta la mia vita:
Sara (questo è il suo nome, ma potrebbe essere un nome qualunque, perché è un caso universale ed omogenizzante, oggi) si alza alle 8 di mattina ed inizia a spulciare la posta elettronica e, ahimé, anche quella d’alluminio o di legno, appesa, con speranza, fuori dalla porta.
Molto spesso si tratta di pubblicità, offerte convenienti per l’acquisto di auto o accessori vari, mutui, finanziamenti e prodotti venduti al ribasso con sconti improponibili… spesso mi domando se non siamo noi la merce: venduta al prezzo più basso ma ricca di una qualità tale da renderci “pieni” e soddisfatti quando veniamo contattati per un colloquio oppure per firmare un contratto a tempo determinato.
Tutto questo pur di avere un posto di lavoro e un gruzzoletto da ricevere ogni mese per essere indipendenti e per andare avanti, in un mondo che spesso si ritrova a dover far marcia indietro, spegnere il motore e rimuovere le chiavi.
Sono venti anni ke lavoro come impiegato(6 anni), socio lavoratore (5 anni) ed ora autonomo (8 anni) ma ho sempre trovato il figlio del titolare, incompetente ,appena diplomato, so tutto io , messo li dal padre con funzioni da supervisore a fare solo danni…. ma tanto la colpa è sempre di noi “inferiori” .. Fantozzi insegna.